martedì 2 novembre 2010

Avevo davanti a me due strade: scelsi la meno raccomandata



Ieri La Stampa ha pubblicato un bell'articolo di Paolo Mastrolilli su Ted Sorensen, amico, consigliere, ghost writer di JFK e poi tante cose oltre.
Lo riporto tutto.
La Stampa nei giorni festivi e piovosi è un giornale favoloso.


E' morta la voce di John Kennedy. Anzi la sua ombra, il suo fantasma, la sua «banca del sangue intellettuale», come si divertiva a chiamarlo il re di Camelot. Perché Theodore Chaikin Sorensen, ucciso ieri a 82 anni da un ictus a New York, era molto più che la penna dei discorsi di Kennedy: era la sua ispirazione. Facciamo un paio di esempi. Ricordate la frase più celebre che il presidente ucciso a Dallas pronunciò nel discorso della sua inauguration? «Non chiedere cosa può fare il tuo paese per te, domanda piuttosto cosa puoi fare tu per il tuo paese».

Oppure quella che divenne la linea di demarcazione del mondo occidentale per tutta la Guerra Fredda: «Ich bin ein Berliner», io sono un berlinese, pronunciata proprio davanti al muro della vergogna. Chi le ha scritte, secondo voi? Se chiedevate a Sorensen, abilissimo a restare sempre nell'ombra, rispondeva che non ricordava bene da dove venissero quelle righe. Tranne poi prendersi tutta la responsabilità dell'errore grammaticale nascosto nella frase in tedesco, dove quel rafforzativo «ein» aveva maldestramente trasformato il senso del grido presidenziale nell'esaltazione di un noto dolce dell'ex capitale divisa dal muro.
Un vero consigliere fedele, del resto, è così: si prende tutti i torti, e gira al capo tutti gli elogi. «Il mio ruolo - diceva Ted scherzando, ma non troppo - è pensare e preoccuparmi... e molto spesso piegarmi». Dove l'espressione usata per offrire la prova della sua flessibilità, «bent over», ha pure un doppio senso gergale che di questi tempi farebbe arrossire persino Ruby Rubacuori.

Sorensen era nato nel 1928 a Lincoln, nel Nebraska, da un padre repubblicano che era arrivato a essere ministro della Giustizia dello Stato. Nel migliore dei casi, lo aspettava una carriera di avvocato tra le piantagioni di pannocchie. Appena laureato, però, aveva deciso di fare un'esperienza a Washington. Davanti a lui c'erano due strade: fare il riverito portavoce del famoso senatore Henry Jackson, oppure andare a sgobbare per un giovanotto del Massachusetts di nome Kennedy: «Avevo davanti a me due strade: scelsi la meno raccomandata, e ciò ha fatto tutta la differenza nel mondo».

Avere Ted sottobraccio, in realtà, ha fatto la differenza anche per il mondo di John. In Italia, chissà perché, quando si immaginava la mente di Camelot tutti pensavano ad Arthur Schlesinger, ma era Sorensen quello che si era consumato le scarpe correndo dietro a Kennedy per tutta l'America, quando la Casa Bianca era solo un miraggio lontano. E John aveva avuto l'intelligenza di apprezzare il suo acume, al punto di prendergli in prestito senza ritegno, o rubargli, le idee migliori. Per esempio, quando i sovietici mandarono per la prima volta in orbita un cosmonauta, Yuri Gagarin, fu Ted che si presentò nell'ufficio del Presidente con l'idea di scavalcarli: «Lui era l'uomo che aveva parlato della Nuova Frontiera: chi meglio di lui poteva ispirare un popolo ad arrivare sulla Luna?».

Detto e quasi fatto, a partire dal discorso per convincere l'America, che naturalmente toccò a Sorensen. Stessa storia quando Krusciov, durante la crisi dei missili a Cuba, minacciava la guerra nucleare. Ted, insieme a Bobby Kennedy, suggerì al Presidente di ignorare i messaggi più bellicosi del Cremlino, e scrivere invece una proposta di pace che salvasse la faccia a tutti. John accettò, e Nikita pure, dopo che Sorensen aveva vergato l'unica lettera che abbia mai salvato il mondo dall'Apocalisse. Quanto basta per uscire adesso di scena ed entrare nella storia, con la penna in mano.

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