mercoledì 12 maggio 2010

Quel bel buon senso

Il Secolo d'Italia (chapeau chapeau, ecchecavolo sono stufa di fare chapeau, cosa dice la sinistra???) sul caso Gugliotta scrive cose semplici e chiare, impregnate di quel sano buonsenso che in un paese normale sarebbe scontato, e in Italia invece è tanto inaudito e coraggioso da trovarsi ai margini.
Credo che lo abbia scritto la Perina.

"Sarebbe stato bello ascoltare, magari a Chi l’ha visto? che ieri ha parlato della vicenda, un messaggio di solidarietà e attenzione del ministro dell’Interno Maroni alla mamma di Stefano Gugliotta, il ragazzo pestato al Flaminio da un gruppo di agenti di polizia in servizio di sicurezza intorno allo stadio. Bello e utile, perché se c’è un modo di disincentivare abusi di questo tipo – che possono avere esiti fatali, come dimostrano le vicende di Stefano Cucchi e Gabriele Sandri – e di rassicurare le tante madri sconcertate dal caso di Stefano, è appunto quello dei gesti simbolici: una lettera, una visita, un abbraccio potrebbero rendere chiaro più di mille leggi che lo Stato non apprezza la violenza gratuita, che non strizza l’occhio a chi la pratica forte di una divisa, che è stufo di essere messo in difficoltà da questo tipo di intemperanze. La destra, che delle forze dell’ordine si è posta sempre come “interprete”, difendendole talvolta anche al di là di ragionevoli dubbi, ha il dovere di aprire una riflessione su tutto questo, anche tenendo conto di un dato che dovrebbe colpire tutti: mentre i poliziotti picchiavano (senza apparente motivo) il venticinquenne romano, la gente dalle finestre gridava “Basta”, “Vergognatevi”, perchè l’immagine di sei o sette adulti che circondano un ragazzo e lo pestano non piace a nessuno, nemmeno all’opinione pubblica più stressata dagli allarmi securitari di ogni genere. E dai poliziotti ci si aspetta che identifichino e magari arrestino, non che alzino le mani su una persona disarmata ed evidentemente indifesa. Luigi Manconi, che queste cose le segue e le affronta da tantissimo tempo, sostiene che il moltiplicarsi di questo tipo di episodi è figlio di un’incomprensibile escalation dell’allarme sociale, di una sorta di “stato di eccezione permanente” dove qualunque evento fuori dalla norma è visto come una minaccia all’ordine pubblico. Un certo margine di disordine, dice, è a suo modo parte di una vita sociale “ordinata” se lo si amministra con saggezza. Se al contrario si cavalca la paura incasellando ogni partita di calcio, ogni raduno politico, ogni fenomeno giovanile, ogni esperienza non conforme, in un pericolo da allarme rosso si giustificano implicitamente reazioni spropositate che non creano ordine ma producono ulteriore caos. Nell’ultima settimana, ad esempio, abbiamo visto un colossale spreco di energie intorno alla manifestazione del Blocco Studentesco nella Capitale, raccontata come una specie di marcia su Roma e come tale affrontata da tutti gli attori in causa, Questura, avversari politici, opinionisti. Eppure, alla prova dei fatti, si è trattato di una normale dimostrazione di studenti. Così come nella Roma-Inter di domenica scorsa, presentata come la madre di tutte le battaglie da stadio, gli incidenti si sono limitati all’ordinaria amministrazione, qualche lancio di oggetti e un paio di cariche di alleggerimento. E tornano alla mente anche episodi più complicati, come la cosiddetta rivolta dei clandestini a Rosarno – che, si scoprì poi, erano tutti regolari e “regolarmente” tartassati dai clan della ‘ndrangheta – o vagamente ridicoli, come la psicosi dell’influenza suina che ha paralizzato il servizio sanitario nazionale e svuotato le sue casse prima che emergesse ciò che era piuttosto evidente fin dall’inizio: si trattava di un virus quasi innocuo, molto meno pericoloso della normale influenza stagionale. L’emergenzialismo senza emergenza è un macigno psicologico di cui la politica deve liberarsi, facendo leva anche sulla sua esperienza. La generazione oggi al governo ha in gran parte formato se stessa tra gli anni della strategia della tensione e gli anni di piombo, ed è quindi perfettamente in grado di fare la tara ai fatti che è attualmente chiamata a gestire, dal bullismo a scuola al tifo estremo, dalle occupazioni di case alla movida in centro, dalle prostitute sulle consolari alle risse tra stranieri, ridimensionandoli per quel che sono: non manifestazioni eversive ma fenomeni metropolitani e generazionali tipici di tutte le società libere e sviluppate, che le democrazie possono contenere e sanzionare senza eccessi nevrotici. Trattare un ragazzo senza casco, sospettato di essere un ultras, come un pericoloso terrorista in fuga è un eccesso su cui la politica dovrebbe cominciare a esprimersi senza il consueto rinvio al «chiarimento delle responsabilità», dimostrando (e non sarebbe poco) di saper essere garantista anche con i deboli e non solo con i forti e i fortissimi".

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